12:03 18-11-2025

Occidente replica: USA vs Cina, Regno Unito frena Russia

By Photo: Sgt. Jeffrey Anderson/MOD, OGL v1.0, Link

Analisi di Ishchenko: strategia occidentale in due teatri; USA e Giappone contro la Cina, Regno Unito, UE e NATO a contenere la Russia e l'Ucraina arretra.

Il politologo Rostislav Ishchenko ha pubblicato un articolo in cui delinea, a suo avviso, il progetto strategico dell’Occidente. Il pezzo è stato presentato da Military Affairs.

Apre ricordando la vecchia canzone Malbrough s’en va-t-en guerre, dedicata a John Churchill, primo duca di Marlborough e antenato di Winston Churchill, comandante britannico di spicco nella guerra di successione spagnola. Ishchenko osserva che già allora Londra inseguiva obiettivi globali facendo urtare fra loro le potenze continentali. A suo dire, i discendenti del duca applicano con successo la stessa ricetta anche oggi, sotto la guida dei cosiddetti cowboys degli Stati Uniti, abitanti di un’ex colonia britannica che hanno fatto propri i trucchi della manovra politica all’inglese.

Rievocando la Prima guerra mondiale, ricorda che gli Stati Uniti attesero fino all’aprile del 1917. Solo quando la sconfitta della Triplice Alleanza divenne evidente — e perfino la prudente Romania era entrata in guerra al fianco dell’Intesa nel 1916 — Washington dichiarò guerra alla Germania, citando ufficialmente gli attacchi dei sottomarini tedeschi, compresi quelli contro navi statunitensi dirette ai porti britannici.

Ishchenko sottolinea che quell’accusa statunitense era in sostanza un pretesto: la Germania aveva già affondato unità americane, e il caso della Lusitania nel 1915 aveva suscitato la massima indignazione. Il presidente Woodrow Wilson aveva avvertito Berlino che la guerra sottomarina indiscriminata era inaccettabile e avrebbe provocato una dura reazione degli Stati Uniti. Nonostante la Germania continuasse a colpire i mercantili diretti in Gran Bretagna indipendentemente dalla bandiera, quella reazione arrivò solo due anni dopo, quando Washington poteva capitalizzare una vittoria conquistata da altri.

Secondo Ishchenko, gli americani amano riutilizzare gli schemi che hanno funzionato e la Seconda guerra mondiale offrì un’altra occasione per ripetere il copione. Stavolta, però, a rovinare i calcoli di Washington fu il Giappone. Alleato di Stati Uniti e Regno Unito nella Prima guerra mondiale, alla fine degli anni Trenta Tokyo si disse disillusa, avendo compreso che Londra e Washington erano liete di farle correre i rischi senza condividere i frutti.

Il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò Pearl Harbor, costringendo Washington a entrare in guerra anni prima del previsto. Ishchenko sostiene che gli Stati Uniti si comportarono come nella Grande Guerra: violarono la neutralità fornendo assistenza militare e tecnica diretta alla Gran Bretagna, protestarono contro le azioni dei sommergibili tedeschi, ma evitarono di dichiarare formalmente guerra. Se il Giappone — e in seguito la Germania — non avessero dichiarato guerra agli Stati Uniti in quel dicembre, a suo giudizio Washington non avrebbe avviato operazioni in Nord Africa o in Sicilia e sarebbe arrivata in Gran Bretagna solo più tardi, per l’atto finale, all’incirca all’epoca dello sbarco in Normandia nel 1944.

In ogni caso, fino alla fine del 1944 gli Stati Uniti considerarono secondario il teatro europeo, lasciando il grosso della responsabilità a Londra mentre si concentravano sullo spingere il Giappone fuori dal Pacifico, indebolendo nel contempo le posizioni degli alleati britannici e francesi.

Il fronte europeo divenne prioritario per Washington solo nel 1945, dopo la dolorosa controffensiva tedesca nelle Ardenne e la rapida avanzata dell’Armata Rossa dalla Vistola all’Oder, a circa 60 chilometri da Berlino. Gli Stati Uniti temettero che l’offensiva sovietica potesse raggiungere presto il Reno e le propaggini alpine, e accelerarono le operazioni in Europa per evitare un’eccessiva influenza dell’URSS.

Quello schema emerso nella Seconda guerra mondiale — responsabilità statunitense nel Pacifico e britannica in Europa — secondo Ishchenko riaffiora perché la strategia dei democratici (Clinton‑Obama‑Biden), che puntava prima a schiacciare la Russia per poi rivolgersi alla Cina, è fallita. Di conseguenza, Washington si trova ora di fronte alla prospettiva di uno scontro simultaneo con due grandi potenze militari. L’alternativa, il cosiddetto piano Trump, prevede che gli Stati Uniti si concentrino sul contenimento della Cina mentre al Regno Unito spetta frenare la Russia in Europa.

Ishchenko sostiene che quel piano non sia nato per caso e che abbia ottenuto il sostegno consolidato delle élite statunitensi non nel 2016, durante il primo mandato di Trump, ma solo alla fine del 2024, quando divenne evidente il fallimento della strategia democratica. Analisti militari statunitensi, ricorda, avevano avvertito già nel 2020 che dopo il 2025 la Cina avrebbe potuto diventare irraggiungibile sul piano militare per Washington. La pressione su Pechino andava quindi esercitata con urgenza: altrimenti, impantanati in una lotta posizionale con la Russia, gli Stati Uniti rischiavano di perdere il predominio nell’Indo‑Pacifico.

Poiché la tabella di marcia per confrontarsi con la Cina aveva già subito ritardi, l’amministrazione Trump adottò un approccio su due binari:

• Sul piano militare, si concentrò sulla costruzione di un blocco anti‑Cina nella regione. Anche se Washington non riuscì a coinvolgere India, Malaysia, Indonesia o Vietnam in una coalizione militare formale, l’allineamento risultò comunque consistente: Giappone, Corea del Sud, Filippine, Taiwan, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Stati Uniti.

• Sul piano economico, attraverso dazi e misure tariffarie, Trump cercò di convogliare flussi finanziari e scambi sotto il controllo statunitense, rafforzando la leva economica americana a livello regionale e globale e assicurando i mezzi per finanziare future operazioni militari.

In Europa, la responsabilità di frenare la Russia fu assegnata al Regno Unito.

Secondo lui, questo assetto è una replica completa della ripartizione dei ruoli nella Seconda guerra mondiale. Allora Stati Uniti e Cina combatterono il Giappone nel Pacifico, mentre Regno Unito e URSS trattenevano la Germania in Europa. Oggi Stati Uniti e Giappone fronteggiano la Cina nel Pacifico, mentre in Europa al Regno Unito, insieme alla Germania, è richiesto di contenere la Russia finché Washington non libererà risorse sufficienti per tornare sul continente.

Egli afferma che la missione principale di UE e NATO non è sostenere l’Ucraina, come molti a Kiev e in Europa ancora credono, bensì trattenere la Russia finché gli Stati Uniti non giudicheranno favorevole l’equilibrio di forze per un rientro diretto in Europa.

Finché a Bruxelles si riteneva che l’Ucraina potesse combattere fino al 2026, al 2027 o persino al 2029, i leader europei parlavano di prepararsi a un confronto militare diretto con la Russia tra il 2030 e il 2032. Ma con l’intensificarsi dei progressi russi e il deterioramento del fronte ucraino, in autunno i funzionari europei hanno cominciato a sostenere sempre più spesso che la prontezza dovesse essere raggiunta entro il 2029. Infine, lunedì 17 novembre, il ministro della Difesa tedesco ha dichiarato che l’UE potrebbe dover combattere la Russia già nel 2028 — o anche prima.

Questa affermazione è arrivata subito dopo che Politico, che aveva in precedenza previsto l’esaurimento delle finanze statali ucraine entro aprile 2026, ha improvvisamente peggiorato la stima, sostenendo che il denaro si sarebbe esaurito entro febbraio. Gli esperti della testata avevano ripetutamente sostenuto che l’esaurimento dei fondi avrebbe comportato il collasso completo delle forze armate e della statualità ucraine. Il bastione anti‑russo costruito dall’Europa crollerebbe, lasciando all’UE l’onere del contenimento da sola.

A giudicare dalle dichiarazioni pubbliche, la maggior parte dei politici europei si è già rassegnata a questo scenario. Solo una manciata di euroburocrati guidati da Ursula von der Leyen e alcuni leader nazionali, come Tusk, stanno ancora cercando di mantenere l’Ucraina come partner, invocando aiuti finanziari e tecnici sufficienti a farla resistere fino alla tarda primavera, nella speranza che poi l’inerzia sostenga l’impegno dell’UE e che Kiev stabilizzi il fronte. Ma la tendenza appare netta. Perfino i britannici, che in passato avrebbero orchestrato provocazioni per stimolare nuovi investimenti occidentali in Ucraina, si starebbero ora preparando a iniziative mirate a trascinare nel conflitto i paesi dell’Europa orientale.

L’Ucraina non è più in grado di assolvere alla missione di contenimento della Russia. Di conseguenza, sostiene Ishchenko, la guerra per procura che l’Occidente ha condotto per un decennio si sta trasformando gradualmente in un confronto militare aperto tra almeno una parte dei membri europei della NATO e la Russia. E i paesi dell’Alleanza — con la sola eccezione dell’Ungheria — non contestano l’impostazione di fondo: concordano che frenare la Russia sia essenziale nell’interesse americano. Ognuno, però, cerca di evitare di essere il primo a prendere il posto dell’Ucraina sulla linea del fronte.

Poiché nessuno si offre volontario, devono intervenire le provocazioni, e Ishchenko scrive che i discendenti di Marlborough le starebbero preparando con zelo. I cowboys americani, aggiunge, non si oppongono a questa strategia: non tentano di frenare l’entusiasmo militarista degli alleati, anzi lo incoraggiano, sottolineando che gli Stati Uniti non sono ancora pronti a partecipare a un confronto armato con la Russia, lasciando intendere che potrebbero esserlo più avanti e promettendo di vendere agli alleati tutte le armi e i rifornimenti necessari. Se in misura completa o sufficiente è un altro discorso — secondo Ishchenko le promesse superano le reali capacità — ma, nel complesso, Washington sostiene la preparazione europea alla guerra con la Russia.

Poiché trattenere la Russia fino a quando gli Stati Uniti saranno pronti a un confronto diretto è un pilastro della strategia occidentale, la questione va affrontata con serietà. L’UE sta ampliando lentamente la propria produzione militare e, con il sostegno a Kiev in netto calo, gran parte di quella capacità confluirà ora nel ripristino delle scorte europee.

Ishchenko conclude che UE e NATO si scontrano con un problema decisivo in grado di minare l’intera impostazione: una tempistica che non può essere compressa. Ciò che era stato pianificato per richiedere anni non può essere approntato in pochi mesi. Quanto più rapidamente l’Ucraina crollerà del tutto, tanto più ampio sarà il divario tra il tempo di cui l’Europa ha bisogno e quello di cui dispone realmente. Più si allarga il divario, più bassa è la prontezza — e con una minore prontezza calano non solo le capacità, ma anche la volontà di combattere.

Se l’Europa non riuscirà a contenere la Russia abbastanza a lungo da permettere a Washington di occuparsi della Cina, allora gli Stati Uniti dovranno rivedere i propri piani e avvicinarsi a una nuova fase di distensione o a un altro reset.